Cosa sono, come si producono e perché sono sempre più importanti nelle strategie di decarbonizzazione

Argomenti in primo piano:

  1. Idrogeno
  2. Biometano

L’attuale crisi energetica indotta dalla guerra tra Ucraina e Russia ha messo sotto i riflettori il fabbisogno di gas di buona parte dell’Europa e, in particolare, del nostro Paese. Secondo i più recenti dati del Mise, l’Italia estrae il 4,4% del gas che consuma pari a 3,34 miliardi di metri cubi a fronte di un fabbisogno di 76,1 miliardi. Il gap da colmare è evidente e, inoltre, le riserve complessive non superano i 70 miliardi di metri cubi.

Al problema di approvvigionamento si somma, inoltre, la compatibilità dei gas disponibili con la transizione energetica. Qui però c’è la sorpresa più importante perché il gas può diventare un elemento cruciale proprio in ottica decarbonizzazione e non soltanto in riferimento al suo utilizzo al posto del carbone. I progressi tecnici, infatti, ci hanno portato a considerare una produzione di gas rinnovabile e quindi non dipendente dalle fonti fossili. Parliamo in questo caso di gas verdi o gas rinnovabili, ad indicare la nuova generazione di gas che possono essere prodotti e non semplicemente estratti e, quindi, possono fornire gli stessi vantaggi del gas naturale. In particolare, possono essere stoccati sopperendo così alla non programmabilità delle rinnovabili tradizionali come eolico e fotovoltaico. Inoltre - ed è un altro fondamentale vantaggio dei gas naturali - possono sfruttare le infrastrutture già esistenti per il trasporto e la distribuzione.

Attualmente, secondo l’International Gas Union (IGU), la produzione globale di green gas si attesta a circa 400 TWh, pari a l'1% della produzione globale totale di gas naturale.

Le potenzialità di produzione però sono enormemente più alte: secondo lo studio Navigant del consorzio europeo Gas for Climate il continente può produrre circa 270 miliardi di metri cubi di idrogeno e biometano l’anno.

Idrogeno

È la pietra filosofale nel mondo dell’energia rinnovabile. Si tratta di un elemento dall’alto potenziale energetico e per di più praticamente illimitato visto che si trova ovunque intorno a noi. In natura non esiste libero, ma deve essere separato attraverso procedimenti che richiedono un importante apporto tecnologico. Il più diffuso tra questi è l’elettrolisi ovvero la separazione dell’acqua in idrogeno ed ossigeno sfruttando l’energia elettrica. Proprio partendo da quest’ultimo metodo di produzione, è facile intuire come l’idrogeno possa diventare un mezzo efficace per immagazzinare l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili non utilizzata immediatamente e solo parzialmente stoccabile nelle batterie. Questa tecnologia viene definita Power-to-Gas; uno dei progetti più interessanti in questo senso prenderà avvio nel 2023 a Sestu in Sardegna. Qui entrerà in funzione l’impianto Italgas per la produzione di idrogeno attraverso un elettrolizzatore. L’idrogeno verrà impiegato puro come combustibile per il trasporto e miscelato a gas naturale per l’immissione nelle esistenti reti di distribuzione per uso civile e industriale.

Attualmente si parla soprattutto di due tipologie di idrogeno, in relazione alla sua produzione: “blu”, ossia idrogeno prodotto da idrocarburi fossili con cattura e stoccaggio del carbonio così da renderlo carbon neutral e “verde” cioè ottenuto tramite elettrolisi con corrente elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

Biometano

È il biogas dalle potenzialità maggiori in termini produttivi. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), infatti, può crescere di venti volte nel breve periodo andando così a soddisfare un quinto dell’attuale domanda di gas. Il biometano è il metano ottenuto dalla purificazione dei gas prodotti da rifiuti urbani e scarti agricoli e agroindustriali ma anche da fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue. I vantaggi offerti sono almeno due: energia, utile per l’industria e gli utilizzi domestici oltre che per il trasporto e l’innescarsi di un processo di economia circolare grazie al riutilizzo di quelli che altrimenti vengono considerati semplici scarti.

Il trattamento viene svolto all’interno di un digestore anaerobico, ossia in un ambiente privo di ossigeno: questa operazione dà vita al biogas, povero di energia, che contiene solo tra il 40% e il 60% di metano, il 40-60% di CO2 e alcune tracce di altri composti tra cui l’H2S (idrogeno solforato). Il biogas, a sua volta, viene purificato, con l’eliminazione dell’anidride carbonica e di altri composti, dando così vita al biometano pronto per essere iniettato nella rete di distribuzione del gas. La produzione di biometano potrebbe facilmente diventare complementare a quella agricola e oggi è in forte ascesa: nel Paese sono attivi 27 impianti, per una capacità complessiva di produzione da 25.445 mc l’ora, in aumento anche grazie ai finanziamenti previsti nel PNRR.

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